In Puglia, Santa Lucia rappresenta una legame di fede con la cultura e la cucina locale.
In molti paesini pugliesi, come Corato, Bitonto, Putignano, Noci e altre piccole località, si accendono grandi falò. Questi fuochi, che illuminano la notte, sono simboli di purificazione e speranza, un gesto collettivo che unisce la comunità in un momento di raccoglimento.
Nel Gargano, invece, la tradizione assume una forma diversa, più intima e riflessiva: la penitenza delle 13 fave secche, accompagnate solo da acqua. Un rituale antico, semplice e carico di significato, che rappresenta l’umiltà e il sacrificio della santa.
Accanto a questi gesti di penitenza, non manca un tocco di dolcezza. In diverse zone della Puglia, si preparano i taralli, come i caratteristici “occhi di Santa Lucia”, un dolce semplice che ricorda simbolicamente il sacrificio della santa.
Santa Lucia: le 13 fave, un quadro imponente e ricordi che fanno sorridere
Il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, è sempre stato speciale nella mia famiglia. Nel Gargano, questa giornata era profondamente legata alla tradizione, segnata da riti di penitenza e devozione che, ripensandoci oggi, avevano un fascino unico. Tra questi, il più singolare era il digiuno: per tutta la giornata si mangiavano solo 13 fave secche e acqua. Ma quello che davvero rimane impresso nella mia memoria non sono solo le fave, ma un quadro enorme e inquietante di Santa Lucia, che dominava la stanza.
Le 13 fave della Santa
La regola era chiara: “13. Non 12, non 14”. Ricordo una volta in particolare, quando mio fratello, fissando il piatto con aria dubbiosa, disse: “Ma almeno ci aggiungiamo un po’ di cicorie?”. La risposta di mia madre fu secca: “Santa Lucia non mangiava cicorie!”.
E così, in silenzio, continuavamo a mangiare, contando quelle 13 fave una per una. Era un momento che, in qualche modo, ci faceva riflettere, anche se non capivamo del tutto il significato di quel gesto.
Il quadro di Santa Lucia e la “forchetta”
Ma il vero protagonista di Santa Lucia, nella nostra casa, era lui: il quadro!
Era un’opera imponente, un regalo di nozze per mia nonna, che troneggiava sopra il mobile antico di legno scuro, quasi a vegliare su di noi. Santa Lucia era raffigurata con il suo piattino in mano, sopra cui stavano i suoi occhi. Per noi bambini, era impossibile non guardarlo. E più cercavamo di ignorarlo, più sembrava guardarci.
Quando l’inquietudine diventava troppo forte, andavamo da mia madre in cerca di rassicurazioni. Ma, invece di tranquillizzarci, lei ci raccontava la storia della santa in modo romantico e drammatico, come solo lei sapeva fare: “Lucia era una ragazza bellissima, e un giovane si era innamorato perdutamente di lei. Ma lei, per dimostrare la sua fede, si è cavata gli occhi con una forchetta e glieli ha offerti!”.
Io e mio fratello rimanevamo a bocca aperta, incapaci di capire se ridere o spaventarci. “Con una forchetta, mamma? Ma davvero?”. E lei, imperterrita, continuava a raccontare, con una passione che trasformava la scena in un racconto epico. Dopo il racconto, tornavamo a letto ridendo nervosamente, ma il quadro continuava a guardarci. E ogni sera, dal nostro lettino, ci promettevamo che, crescendo, avremmo messo qualcosa di diverso al suo posto. Magari un paesaggio.
Diventando grandi: il quadro che ci faceva sorridere
Crescendo, quel quadro è rimasto lì, immobile e severo, ma il nostro rapporto con lui è cambiato. Mio fratello, ormai adolescente, cercava di convincere mia madre: “Ma possibile che non possiamo mettere un bel tramonto o una Madonna più tranquilla?”. Ma mia madre era inflessibile: “Quel quadro è lì per ricordarci la forza della santa. E basta!”.
Oggi, ripensandoci, quel quadro non mi intimorisce più. E anche se non c'è più, rimane un simbolo di famiglia, un pezzo della nostra storia, e persino le risate nervose sono diventate parte del ricordo. Quando lo raccontiamo, ridiamo ancora di quella forchetta che ci terrorizzava e delle serate passate a cercare di non guardarlo, senza riuscirci.
In conclusione, Santa Lucia non è solo il giorno delle 13 fave o il simbolo della luce nel giorno più corto dell’anno. Per me, è un ricordo dolce e un po’ buffo di quei momenti in famiglia, tra digiuni, risate e racconti di mia madre. E, anche se allora facevo di tutto per non guardare quel quadro, oggi, ogni volta che ci penso, sorrido.
Perché, in fondo, quei racconti e quelle immagini fanno parte delle nostre radici, e non c’è nulla di più bello che condividerli.
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