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Le favole di una volta: racconti davanti al camino nelle sere d'inverno.
Nel cuore della tradizione popolare pugliese si nascondono storie semplici e ironiche, raccontate nelle sere d’inverno attorno al fuoco. Questa è una di quelle favole che non si leggono sui libri, ma si tramandano di voce in voce, con il calore e l'affetto di chi le ha ascoltate da bambino. Cumnare Iattaradd ( Commara Gatta) è la protagonista di un racconto che unisce astuzia, ingenuità e un pizzico di ironia, proprio come molte delle storie della nostra terra.
Gli inverni gelidi nel Gargano
Un tempo, gli inverni nel Gargano erano lunghi e gelidi, ben diversi da quelli di oggi. La neve cadeva abbondante, ricoprendo tutto con un manto bianco spesso mezzo metro. Il freddo era pungente, e ricordo ancora le case con gli "nzanzanedd", lunghi ghiaccioli che pendevano dai tetti e dalle grondaie come coltelli di vetro. Alcuni arrivavano a quaranta centimetri, perfino un metro, scintillanti sotto il sole gelido delle mattine d'inverno.
I bambini giocavano per ore nella neve, rincorrendosi, lanciandosi palle gelate, fino a quando le mani arrossate e i piedi intorpiditi li costringevano a rientrare. Dentro casa, la stufa a legna e il camino acceso erano un rifugio. Lì, al caldo, mentre il fuoco crepitava e sotto la brace cuocevano le patate, le nonne raccontavano storie.
Erano racconti antichi, tramandati dai nonni e dai bisnonni, storie semplici e affascinanti, che avevano il sapore della tradizione. Tra le tante, c’era quella di Cumnare Iattaradd, la gatta che si voleva maritare.
La gatta e il fiocco rosso
Cumnare Iattaradd era una gatta furba e vanitosa. Un giorno, mentre spazzava in chiesa, trovò un soldino e subito si chiese cosa potesse comprarci.
Le noci? No, perché avrebbe dovuto buttare via le bucce.
Le nùcedde ( noccioline)? No, perché c’era da togliere la scorza (pellicina).
Alla fine decise:
“Mi compro un bel fiocchetto rosso, me lo metto al collo e mi affaccio alla finestra perché mi voglio maritare, voglio trovare marito!”
Si sistemò il fiocco con orgoglio e si mise ben dritta sulla finestra, nel cuore del centro storico, dove le viuzze strette risuonavano di passi e voci.
Gli animali alla finestra
Il primo a passare fu un asino, con il suo passo pesante e il raglio squillante.
— “Cumnare Iattaradd, che fai alla finestra?”
— “Mi voglio maritare!”
— “Mi vuoi a me?”
— “Fammi sentire che voce hai.”
— “Ih-oh! Ih-oh!”
— “Passa, passa, che non ti voglio.”
Poi arrivò un maiale, trotterellando.
— “Cumnare Iattaradd, che fai alla finestra?”
— “Mi voglio maritare!”
— “Mi vuoi a me?”
— “Fammi sentire che voce hai.”
— “Grunf! Grunf!”
— “Passa, passa, che non ti voglio.”
Passò un gallo, fiero e impettito, con la cresta ben alta.
— “Cumnare Iattaradd, che fai alla finestra?”
— “Mi voglio maritare!”
— “Mi vuoi a me?”
— “Fammi sentire che voce hai.”
— “Chicchirichì, chicchirichì!"
— “Passa, passa, che non ti voglio.”
Poi arrivò una pecora, con il suo manto morbido e la voce roca.
— “Cumnare Iattaradd, che fai alla finestra?”
— “Mi voglio maritare!”
— “Mi vuoi a me?”
— “Fammi sentire che voce hai.”
— “Beeeeh, beeeeh!”
— “Passa, passa, che non ti voglio.”
Alla fine passò una papera, dondolando sulle zampe palmate.
— “Cumnare Iattaradd, che fai alla finestra?”
— “Mi voglio maritare!”
— “Mi vuoi a me?”
— “Fammi sentire che voce hai.”
— “Quack! Quack!”
— “Passa, passa, che non ti voglio.”
Finché, alla fine, arrivò un topolino. Piccolo, veloce e scaltro, si fermò sotto la finestra e alzò il musetto.
— “Cumnare Iattaradd, che fai alla finestra?”
— “Mi voglio maritare!”
— “Mi vuoi a me?”
— “Fammi sentire che voce hai.”
— “Squitt! Squitt!”
La gatta sorrise, lanciò un’occhiata al suo bel fiocco rosso e disse:
— “Vieni, vieni, vieni! Sali su, che ti voglio ‘n coppa!”
E così si sposarono.
La pentola del destino
Il giorno dopo il matrimonio, era domenica, e Cumnare Iattaradd si preparava per andare a messa. Prima di uscire, disse al marito:
— “Io vado in chiesa, tu ogni tanto gira il tegame, mi raccomando.”
Il topolino annuì, fiero del suo compito. Ma mentre mescolava il sugo con il mestolo, gli sfuggì di mano e cadde nella pentola. Nel tentativo di riprenderlo, si sporse troppo e... splash!, scivolò dentro anche lui.
Quando la gatta tornò e non lo trovò, lo cercò dappertutto.
— “Marito mio! Dove sei?”
Nessuna risposta. Alla fine, rassegnata, disse:
— “Chissà dove sarà andato... fammi mangiare, è tardi.”
Ma quando prese il sugo per condire la pasta, lo vide. Si fermò, sbarrò gli occhi e disse:
— “Oh! Ecco dov'eri finito! Non ti trovavo più... sei andato a finire qui dentro!”
E, senza pensarci troppo, si servì la pasta e cominciò a mangiare.
— “Oh, quanto è buono il marito mio..! Oh, quanto è buono il marito mio...”
Qual è il significato della favola di Cumnare Iattaradd?
La favola di Cumnare Iattaradd è un racconto della tradizione popolare pugliese che unisce ironia e saggezza. Attraverso la storia della gatta vanitosa che cerca marito, insegna che non sempre ciò che desideriamo si rivela la scelta migliore. Il finale beffardo, con il topolino che finisce nel sugo, riflette il senso di fatalismo tipico della cultura contadina: la vita è imprevedibile e spesso gioca scherzi inaspettati.
La magia delle favole popolari pugliesi
Le favole come Cumnare Iattaradd ci ricordano un tempo in cui le storie non si leggevano, ma si ascoltavano, tramandate da nonni e genitori nelle lunghe sere d'inverno. Ogni racconto aveva la sua ironia, un insegnamento nascosto e una capacità unica di far sorridere e riflettere. Nel folclore pugliese, gli animali parlanti sono protagonisti di storie che mescolano astuzia, destino e semplicità. La gatta vanitosa, il topolino furbo e il finale imprevedibile rispecchiano quella saggezza popolare che trasformava la vita quotidiana in racconti da tramandare.
Una favola che cambia a ogni racconto
Come accade spesso nelle favole della tradizione orale, chi le narrava poteva scegliere gli animali da far passare sotto la finestra della gatta. Ogni volta la storia assumeva sfumature diverse, rendendo il racconto unico e sempre sorprendente.
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